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Edizione provinciale di Belluno


Donne allo stadio. Tifose, tifosotte, occasionali o intenditrici?

Tassonomia del gentil sesso per i campi di calcio. Voi a quale specie appartenete?

Donne allo stadio. Dietro le porte, tra le tribune, nascoste nei corner, dove possibile, o negli anfratti dell’impianto sportivo. La donna allo stadio è un fenomeno antropologico: chi di dovere dovrebbe studiarlo. Il “sì” alla domenica nel pallone del gentil sesso è un volo pindarico tra tifo e occhiatacce, disquisizioni e chiacchiere improbabili, manie di protagonismo miste ad autentici sfoggi di calma olimpica. Con pazienza, curiosità, ed un pizzico di incoscienza, proveremo ad analizzarlo.


Mamme, sorelle, amiche, fidanzate, mogli. Ex fidanzate, ex mogli, ci sono anche loro. Semplici conoscenti, occasionali capitate per caso nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Anche le donne riempiono le tribune. Per fortuna, diciamo noi, non ci sono solo ultrà, spettatori, giornalisti, dirigenti, osservatori. Il mix è letterario: senza non sarebbe calcio. Il vero calcio, dentro e fuori dal campo. Sono le benvenute, dunque.


Osservarle, in quei cento minuti di oblio, di ingresso in una dimensione parallela, è affar alquanto curioso. E’ possibile, dopo un po’ di tempo, stilarne un’imperfetta tassonomia, che voi lettori, e lettrici (qualcuna ce n’è!) se avete buon cuore, contribuirete a completare.

Rubiconda e dalla gola dirompente, c’è lei, la tifosa per eccellenza. Arriva mezzora prima del calcio d’inizio, chiede le formazioni, le studia, le scruta, immagina la disposizione tattica all’interno del terreno di gioco. Quand’è inverno, di norma, gira col cuscino e la coperta in una mano, e un panino nell’altra. Sentono la partita più dei giocatori, gemono, soffrono, alcune fumano nervosamente. Le più imperterrite parlano come se fossero in campo. Alcune sbraitano consigli, invocano cambi tattici, etichettano l’arbitro con un’aggettivazione che va dall’ironico  al non riportabile. Se sono mamme, difendono il figlio ad oltranza. Se sbaglia, è sempre colpa altrui. Se non gioca: apriti cielo. Se subisce fallo, va nel panico. Ogni partita per lei, vale l’ingresso in un girone dantesco. Qualche volta esagerano, ma alle donne possiamo concederlo. D'altronde, ci vuole una coloritura femminile, anche nella categoria dei bruti da stadio.


Qualche metro più in là, spesso, c’è la rappresentante dell’opposta fazione. Si balza dall’alfa all’omega. Dalla tifosa all’appariscente. L’appariscente non conosce la parola comodità. Nemmeno nelle peggiori domeniche pomeriggio, quando fa freddissimo, piove, e il vento ti taglia la pelle. Loro non mollano mai: un elemento di scomodità deve rovinar loro la giornata, altrimenti non sarebbero degne rappresentanti della categoria. Tacchi alti, scollature inopportune, spacchi ancor più inopportuni, jeans pesanti quando fa caldo, leggins velati quando il termometro scende sotto lo zero, vestiti neri col sole, tinte bianche coi nubifragi. Dev’esserci qualcosa di esteticamente perfetto e praticamente improbabile, inutile e assolutamente controproducente. Altrimenti non sono contente. Provate pietà, quando le vedete. E perdonatele, se avete un po' di senso dell'humour.

Le appariscenti si dividono poi in due sottocategorie: la commentatrice e la sbuffona. La prima al fischio d’inizio fa partire un talk show, la seconda sente la noia che la invade nel profondo. La commentatrice attacca bottone con tutti, critica, ironizza, apostrofa i modi dei ventidue mutandati che corrono sul prato verde qualche metro più avanti. La sbuffona rotea la testa tra le mani, si attorciglia i capelli, ogni tanto lancia un’occhiata al campo, chiedendosi cosa l’avesse spinta, quel tragico giorno, a passare un’ora e mezza altrettanto tragica. Sente il male di vivere e spera, una volta nella vita, che i minuti durino davvero meno di sessanta interminabili secondi. Ogni volta però va male, e l'arbitro dà pure minuti su minuti di recupero. E soffrono, perdendosi nel pensiero, come Petrarca pensando a Laura.


Incantevoli, ai lati delle tribune, ci sono le ecumeniche. Spesso sono mamme navigate, non sono appassionate di calcio, ma l’amore per figli e mariti le ha condotte per i campi del Veneto da una vita intera. Hanno capito che anche per loro il calcio è un’interessante esperienza sociale. Guardano la partita con occhio vispo e fare interessato. Ogni tanto ironizzano sulle epiche gesta dei giocatori, rendendo l’atmosfera serena, anche se la squadra per cui il cuore batte è sotto di tre reti al ventesimo del primo tempo. Hanno la battuta pronta, il sorriso facile e la merenda per il dopo partita. Loro sì, che hanno capito come funziona!


Un capitolo a parte meritano le sorelle. Sono un monumento all’amore fraterno. Con la pioggia o con il sole, col vento o con l’afa, loro ci sono, sempre. Tifano silenziosamente, sperano, confidano nell’aiuto della sorte. Ammiratele: ce ne fossero, di inquiline da tribuna così.

Per concludere, ci sono loro, le dive del post partita: le amiche, assieme alle fidanzate dei mutandati. Dopo il triplice fischio danno il meglio di loro: sfoggiano commenti degni del peggior Mughini, tentano battute metafisiche, abbozzano epici resoconti, ricordando fuorigiochi mai visti, senza nemmeno saper cosa sia. Altre consolano l’amico o il fidanzato, altre lo osannano, riempiendogli il cuore.


Per loro c’è una classificazione che comprende tutta la tassonomia abbozzata sino ad ora. Quando sono in gruppo però, spesso fanno comunella. Durante la partita sono poetiche: in campo la gente corre, si danna l’anima, si lancia a perdifiato nel vuoto, sperando di riempirlo. Loro non riescono a capire il motivo di tanta foga. Il cervello è preso altrove, e ha bisogno di assoluta concentrazione. L’amica in fianco, infatti, ha appena comprato un paio di stivali da urlo, e non possono permettersi di guardar la partita, prima di averli analizzati a fondo. Come possiamo dar loro torto?

Ps: Qualcuno conosce altri membri della specie?

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  Scritto da ZZZ ZZZ il 10/10/2014
 

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