Papà in tribuna. Chi si nasconde sotto il baffo?
Tassonomia del padre-da-stadio
Papà allo stadio: analizziamoli. Se la mamma nel pallone bazzica i campi ma, come dire, spesso sembra non voler avere diritto di cittadinanza nei campi di calcio, il luogo per eccellenza dove l'umana specie dei padri di calciatori dà il meglio e il peggio di sè, è, per l'appunto, la tribuna e le sue adiacenze.
Anche in questo caso è possibile una simpatica tassonomia. Basta un po' d'esperienza, del sano gusto per l'osservazione e l'immancabile curiosità che, per chi fa il nostro discusso e discutibile mestiere, non può non avere. Aristotele, vien da dire, ligio alle classificazioni e alle categorizzazioni del mondo che lo circondava, avrebbe pane per i suoi denti. Fosse un inviato per un quotidiano sportivo avrebbe di che divertirsi: i tratti del papà nel pallone sono netti, riconoscerli è semplice.
Sulle tribune ci sono i solitari, i chiacchieroni, i goliardi, i protestatori (chiamiamoli così, a definirli protestanti, qualcuno potrebbe capire male. E non ce ne voglia Martin Lutero), gli affamati ad ogni ora. Guardateli: sono categorie ben distinte, riconoscibili ad occhio nudo.
Il solitario vive la partita come una lunga attesa. Non sa bene quale scintilla muova il pargolo a tanta passione, a tanta foga per correre in mutande, col sole o col freddo, nel fango e sotto la pioggia, dietro questo benedetto pallone. Ce ne sono di due categorie: gli assorti e i non pensanti. Gli assorti sono appassionati veri. Hanno però una dote: il buonsenso. Guardano la partita con attenzione, seguono il figlio con la coda dell'occhio senza darlo a vedere, ascoltano i mugugni degli homines tribunarum ma non entrano in violente discussioni. Ragionano e sragionano per novanta minuti, senza battere ciglio. Hanno un fare pacato ed ecumenico, sono gentili, ben disposti, dall'animo docile. Una specie in via d'estinzione: l'augurio è che qualcuno s'impegni per riprodurli.
I non pensanti sono i padri innamorati del figlio ma non dello sport. Riconoscerli è troppo facile: durante la partita fanno di tutto. Mangiano, chiamano al telefono, leggono il giornale, girano l'impianto in attesa che la partita finisca. Il risultato tra le contendenti non conta: l'importante è tornare in tempo per pranzo o per cena. Anche loro, però, sono in via d'estinzione.
Passando alle specie che maggiormente popolano le tribune, ci occupiamo ora degli esperti. Gli esperti sono assorti compagnoni: devono assolutamente dire la loro, confrontarsi con tutti, ricreare il biscardiano processone a partita in corso. Il loro è un talk show in itinere, che a volte finisce in zuffa, come in tv.
Spesso, vicino a loro, ci sono i protestatori. Sono bellicosi di nascita, sognano la giustizia ma, ogni domenica, c'è un arbitro, un difensore, un attaccante maldestro che li fa dannare. Hanno un vocabolario giovenaliano: nelle loro prolisse proteste c'è sempre il verbo dell'indignazione di mezzo. Hanno sguardi tesi, un modo di fare rassegnato e nervoso allo stesso modo. La partita per loro equivale l'ingresso all'inferno dantesco. Il dramma, però, non è l'inferno in sè. E' la mancanza di un Virgilio, di una guida che li conduca nelle loro imprecanti peripezie. Ed è un vero peccato: quante storie, quanti litigi rovinano i sabati e le domeniche nel pallone. Alcuni, il senso della misura l'hanno smarrito. Aiutateli a ritrovarlo. Vestitevi da Virgilio, magari vi credono. Non arriveranno in Paradiso, ma magari le porte di un Purgatorio fatto di silenzio assennato potrebbero aprirsi.
Simpatici sono gli affamati. La partita è il pretesto per ritrovi mangerecci. L'ora segnata sull'orologio non importa. Basta soddisfare l'appetito e la partita è già vinta. Guardateli, potreste godervi una grassa risata. La scena è epica: in campo i mutandati si rincorrono, scalciano, urlano, si dannano l'anima. E loro? Sorridenti e guasconi, se ne fanno un baffo. Ogni tanto chiedono anche il risultato. Cosa volete di più?
Logicamente, la tassonomia potrebbe continuare. C'è chi ha scatenato risse e chi ha preparato panini per un reggimento, chi passa dall'odio all'amore nello spazio di un passaggio sbagliato e chi sa sorridere di tutto ciò che succede, conscio che, volenti o nolenti, i pargoli non arriveranno mai al calcio che conta. Ma non è questo che importa.
Ciò che conta è il messaggio che va fatto passare. E' un'opinione, prendetela come volete, in quanto tale. Se il pargolo non arriva al professionismo, bisogna farsene una ragione. Se vuole giocare ancora, bravo o meno bravo, che giochi. Il diritto di coltivare una passione non glielo dovrebbe negare nessuno, soprattutto se dimostra di conciliarla con gli impegni di natura superiore, come la scuola o il lavoro. Arriverà un giorno in cui tutti torneranno a giocare per passione: è scritto nel destino dei dilettanti. I tempi ruggenti, o pseudo tali, stanno per finire. Nell'attesa, armatevi di buonsenso. Il movimento calcistico nazionale vi ringrazierà.
Ps.: Qualcuno vuole inserire altri membri della specie? Se sì, faccia pure. Attendiamo delucidazioni, padri nel pallone. Un cordiale saluto, alla prossima!