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Edizione provinciale di Belluno


Riflessione sul dilettantismo. Perchè attrae così tanto?

Disamina su un fenomeno sociale che vive sulle sue imperfezioni

Migliaia di squadre iscritte, siti dedicati alla notizia e alla narrazione, rubriche sui giornali e in tv, diffusione di video delle partite, una chiacchiera infinita, che parte la domenica sera e termina la settimana dopo. Sacrifici di tutti, sempre e comunque, pur di partecipare alle rotte impazzite di un pallone. Il dilettantismo, pur tra mille contraddizioni, è ancora seguitissimo. Chiediamoci perchè e proviamo a riscoprire il lato più sano di tanto fascino.

Se esiste tanta partecipazione, un motivo deve pur esserci. Ci siamo posti il problema: voi, fatelo con noi. Può essere interessante confrontarsi. Perchè seguire il calcio dilettante?

Perchè è imperfetto, prima di tutto. E’ imperfetto nell’organizzazione, nella tecnica dei giocatori e nella dialettica degli allenatori, nella tenuta atletica dei primi e nella capacità di insegnare dei secondi. Nessuno ha la scienza infusa, e questo, a ben vedere, è un sommo bene. In un mondo dai contorni sfumati, è bene che il margine del dubbio sopravviva sempre. Perchè è al suo interno, che si nasconde la poesia.

E’ lì, nella possibilità che tutto accada, che è sorto il mito del dilettantismo. Un mito fatto di partite nel fango e sotto la pioggia, di scarpe rotte e ginocchia sbucciate, di sgarri incredibili e giustificazioni improbabili. Fosse perfetto, questo calcio non ci piacerebbe.

Invece ci chiama, ci stuzzica, ci fa sorridere, spingendoci talvolta anche oltre la logica, proprio perchè, spesso, una logica non c’è, non deve esserci, e nemmeno la vogliamo. E’ così, e basta. Semplice, ripetitivo, consolante, banale e sorprendente, tragico e comico, ironico e drammatico, grottesco e sublime. E’ imprevedibile, democratico. E’ favorevole a Davide e non a Golia, alle sorprese più che alle certezze.

Certo, qualche previsione la si azzecca a priori. Alcune squadre col dilettantismo non centrano nulla. Ma a chi può spendere non si può dir nulla: è una scelta, e come tale va accettata, anche se va al di là dei confini del dilettantismo. Qualche pecora nera c’è, ma facciamo finta di non vederla. Ci sono i sapientoni e i nullafacenti, gli approfittatori e gli accattoni, i parassiti e i buoni a nulla, i cattedratici e i bestemmiatori. Sono i rappresentati del calcio marcio e malato: dobbiamo prenderne atto.

Ma sono poca cosa, in confronto a tanto candore. Sì, candore. Il candore d’un tempo, pur sbiadito, c’è ancora. Si respira agli allenamenti, nelle chiacchiere, nei messaggi, nelle cene, nelle rimpatriate. E’ l’aria di un calcio che non smette di appassionare. Ci riesce da malato, figuriamoci fosse un po più in salute.

La cura? Meno soldi, più mentalità sportiva. Ragioniamo: in quali altri sport gira tanta pecunia come nel calcio, anche dilettante? Nessuna. Eppure, ogni tanto, l’homo economicus prevale sull’homo..sportivus ( non esiste in latino, ma chiamiamolo così per farci capire). C’è del marcio, dicevamo.

Eppure il dilettantismo ci piace ancora. Lo ripetiamo. Vive sugli aneddoti e sulle storie, sulle scaramanzie e sulle abitudini, sui riti e sugli scherzi. Vive dove l’impossibile diventa possibile, dove il fango diventa amico, dove la pioggia diventa allegria, dove la neve diventa un pretesto per provare a giocare lo stesso, anche in condizioni impossibili.

Il nostro calcio è ancora romantico. Letterariamente parlando, il novecento puntiforme dell’individualismo e delle maschere, dei Montale e dei Pirandello, delle due guerre e dei totalitarismi, deve ancora arrivare. Siamo ancora un popolo di idealisti, di sognatori, di piccoli Schelling attenti all’intuizione estetica, di piccoli Hegel alla ricerca di una sintesi tra mille tesi e altrettante antitesi. Perchè il dilettantismo è una rincorsa verso l’oltre e verso l’assoluto, lontano dalla concretezza pedante della realtà di tutti i giorni.

E’ un mondo che scegliamo di vivere noi, di nostra sponte. E’ nostro, più di ogni altra cosa. E’ figlio del cuore e della pancia, con la ragione, spesso, ha poco a che vedere. E per fortuna. Perchè ogni tanto bisogna lasciarsi andare. E’ una condizione dell’animo umano: l’estremo rigore porta alla nevrosi. Prima o poi si scoppia. Noi, la nostra valvola di sfogo (una delle nostre valvole, diciamo la verità: grazie al cielo ce ne sono altre), ce l’abbiamo su un campo di calcio: profuma di fango e di cuoio, a volte ci fa impazzire, ma ci va bene così. In fondo, lo dicevano anche i latini. ‘Semel in anno, licet insanire’ scrivevano. E’ la frase che fa per noi: teniamocela stretta. E godiamocelo fino in fondo, il nostro romanzo popolare. Pazienza, se non è tutto oro quello che luccica. A noi, piace così: non ci serve altro.

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  Scritto da ZZZ ZZZ il 07/11/2014
 

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