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La chiusura di Sportitalia. Matteo Bonfanti dice la sua...

Ho ascoltato con attenzione le parole di Criscitiello sulla chiusura di Sportitalia e non mi sono incazzato più di tanto. Dieci anni fa me la sarei presa di più. E magari con gli amici di sempre saremmo andati a scrivergli tre scritte sotto casa: un bell’infame a carattere cubitali, rosso, grande e grosso oppure frasi più fantasiose, dal nostro repertorio anti-leghista, tipo “sei una vipera”, “somigli a un mostro a sette teste”, “rispetto a te la strega cattiva cattiva è un gentleman”.
Questo mi manca dei favolosi anni novanta, quelli in cui sono diventato grande: l’indignazione che fa crescere il dissenso, trasformandolo nel nostro cane da guardia contro chi si preoccupa soltanto dei fatti suoi.  Tre lustri fa Criscitiello non si sarebbe permesso di dire ai suoi telespettatori “che nel passaggio da Sportitalia a Lt Sport non cambia nulla”. Perché se l’avesse fatto le decine di lavoratori che in questa operazione rischiano di perdere il posto, l’avrebbero aspettato fuori per dirgliene quattro. E avrebbero avuto la solidarietà di tutti gli altri mass media, quelli di destra, quelli di sinistra, quelli sportivi.
Adesso è diverso, siamo anestetizzati. Ci capita di tutto, persino il licenziamento in diretta televisiva e restiamo in silenzio, senza disturbare, come fosse giusto.
Cosa è successo?  Mi guardo indietro e trovo due momenti decisivi, uno piccolo, l’altro grande: penso a Genova e alla crisi economica. Al Social Forum del 2001 si è smarrita l’idea che lo Stato sia lì per difendere la legalità di tutti, in questa eterna recessione si è invece perso il principio chiave della nostra Costituzione, quello della Repubblica fondata sul lavoro. Che ora non c’è e, se mai tornerà, sarà diverso. Il giornalismo, ad esempio, per gran parte di chi scrive è diventato ormai solo una passione, un po’ come suonare la chitarra o l’arpa celtica nel gruppo folcloristico del proprio paese. Le collaborazioni gratuite si sprecano, così come gli stage che, puntualmente, non vengono retribuiti. Ma si va anche oltre. C’è chi sul sogno di centinaia di ragazzi senza occupazione (in Italia uno su due non lavora né studia), ci fa un sacco di soldi. Ed è proprio il caso di Criscitiello e della sua geniale trovata: gli ormai famosi work shop.
Tre nel 2013 (maggio, settembre, ottobre), durata una settimana, 360 euro il costo dell’iscrizione, centocinquanta partecipanti a ogni sessione. L’introito per la Micri (Michele Criscitiello) Communication  è superiore ai 160mila euro, un bel bottino. Lui la chiama “opportunità per i giovani”, noi in un altro modo sapendo cosa accade a questa povera gente dopo i sette giorni con il nuovo gotha del giornalismo sportivo italiano.
Centoquarantotto se ne tornano a casa con le tasche vuote, due vengono assunti dalla Micri che gli promette di essere impiegati per tre mesi o a Sportitalia (azienda che ha un’istanza di fallimento e che, per questo motivo, non potrebbe avere nuovi dipendenti a meno di escamotage che, purtroppo, avvengono anche nelle migliori famiglie) o a Udinese Channel o a Tuttomercatoweb. Anche in questo caso è facile fare i conti della serva e scoprire, dopo aver tirato due righe tra gli incassi e le spese, che il guadagno per il nostro eroe è assai ingente. Non c’è nessun illecito, ma resta un problema che non investe Criscitiello, ma noi, la collettività. Perché se si entra nel mondo del giornalismo pagando una quota a qualcuno, il merito se ne va a puttane, irrimediabilmente e per sempre.
Lasciandoci soli a verificare le notizie, a confrontare le fonti, a evitare le ripetizioni e i salti di riga: quello che s’insegna ai praticanti nei loro diciotto mesi di (allegra) schiavitù in redazione. Non vogliamo insegnare niente a nessuno. In tempi come questi anche al Bergamo & Sport si fa una fatica boia ad avere un bilancio in pari: non ci arricchiamo noi e neppure i nostri collaboratori. Ma non molliamo e il pensiero resta chiarissimo: se le vacche resteranno magre, allora i sacrifici continueranno. Ma, come sempre, saranno per tutti, per me che sono il direttore e prendo la metà di quando facevo il caporedattore al Giornale di Bergamo, come per il ragazzotto che si sta facendo le ossa, domenica questa a vedersi Mariano-Sabbio sotto la tempesta per pochi euro, qualcosina di più di un rimborso spese. Di contro, se il nostro progetto decollerà, la festa non avrà esclusi, perché qui ognuno di noi ha la stessa importanza. Quel che cambia sono le mansioni. Torno a me, a quel che scrivo, ai motivi che me lo fanno fare, quando potrei rilassarmi con i pronostici di Terza che mi fanno sognare perché m’immagino re Igor Trocchia o Omario Valenti, il Totti di Borgo Palazzo, a bucare le difese avversarie, magari copiando a Ibra il colpo di tacco fatto con la maglia della Svezia o l’ultima magia di Kakà contro la Lazio. Se mi metto a parlare di Criscitiello è per la mia generazione, per quella arrivata subito dopo. Vorrei che la smettessimo di essere rassegnati, mi piacerebbe che tornassimo a scendere in piazza. Ma non per protestare, per inventarci un mondo nuovo, diverso, che almeno ci faccia sorridere.

Matteo Bonfanti
Bergamo&sport 

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  Scritto da Redazione Venetogol il 04/11/2013
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